Immagini forti: una ragazza che chiaramente
percepisce in modo distorto il proprio corpo, una che vomita, un’altra che si
abbuffa mentre piange, una che, prigioniera dei centimetri, si sente con “le
mani legate” di fronte al cibo, un bambino che si ingozza davanti alla tv.
Quante volte il nostro corpo si prende il
compito di esprimere le nostre emozioni e quante volte il cibo, amato oppure
odiato, serve per comunicare, a volte gridare, un disagio.
L’adolescenza, si sa, è una fase della vita
molto complessa e delicata. Gli imperanti canoni di bellezza sono spesso al centro delle
preoccupazioni femminili. Ma, ultimamente e, sempre più spesso, anche i ragazzi
hanno problemi col cibo. Alle superiori circa una studentessa su sette ha un
disturbo dell’alimentazione, (rapporto Espad dell’Istituto di Fisiologia
Clinica del Cnr) e, osservando i maschi, la proporzione è di un ragazzo su
venti. Se, però, ci riferiamo alla fascia d’età dei 15 anni, il rapporto
diventa di uno su dieci.
E’ stata inoltre riscontrata tra i maschi
un’associazione tra l’essere sovrappeso e l’uso di sostanze stupefacenti.
Mentre, nelle ragazze, è la magrezza ad essere associata al consumo di droghe.
Nei disturbi alimentari la focalizzazione
del pensiero ossessivo sul cibo e sul corpo diviene una sorta di distrazione,
un anestetico che riduce la sofferenza psichica. In Italia sono oltre 3
milioni di persone a soffrire di disturbi del comportamento alimentare
e, circa l’ 80% ha subito abusi e maltrattamenti. Questi disturbi non devono
essere scambiati per malattie dell’appetito. Sono disagi psicologici profondi che
celano una profonda “fame d’amore”.
“L’anoressia e la bulimia sono il sintomo
tangibile di un dolore che non si vede, di un disagio psicologico lungamente
incubato, segno di una crepa nella memoria o nella vita famigliare. La persona
anoressica e la persona bulimica sono come il gatto dei cartoni animati che
inseguito dal grosso cane del quartiere si arrampica velocemente in cima a un
albero, per cercare il rifugio e la protezione che non saprebbe trovare
altrove. Da lassù guarda con sufficienza e sollievo ciò che dal basso lo
minaccia. Da lassù è sicuro di avere un controllo totale, a trecentossanta
gradi, del mondo sottostante. In più, se scendesse dovrebbe anche fare i conti
con ciò da cui si era messo al riparo” (Fabiola De Clercq, 1998, Fame
d’Amore, Rizzoli).
Ricostruire insieme le possibili cause del
disagio, conoscersi e creare il percorso di guarigione più adatto a sè, creare un’esperienza
relazionale significativa con un esperto che non giudica co-costruendo un modo
nuovo di vivere, un sostegno medico ed un eventuale supporto farmacologico per
prendersi cura di un corpo e di un’anima sofferenti; Questi gli obiettivi
coraggiosi da perseguire.
Complimenti Anita bel post!
RispondiEliminaIn bocca al lupo x il tuo blog!
Grazie carissimo! crepi il lupo!
RispondiElimina