giovedì 9 gennaio 2014

Quando il nostro corpo si fa carico di un disagio

                     




Immagini forti: una ragazza che chiaramente percepisce in modo distorto il proprio corpo, una che vomita, un’altra che si abbuffa mentre piange, una che, prigioniera dei centimetri, si sente con “le mani legate” di fronte al cibo, un bambino che si ingozza davanti alla tv.
Quante volte il nostro corpo si prende il compito di esprimere le nostre emozioni e quante volte il cibo, amato oppure odiato, serve per comunicare, a volte gridare, un disagio.
L’adolescenza, si sa, è una fase della vita molto complessa e delicata. Gli imperanti  canoni di bellezza sono spesso al centro delle preoccupazioni femminili. Ma, ultimamente e, sempre più spesso, anche i ragazzi hanno problemi col cibo. Alle superiori circa una studentessa su sette ha un disturbo dell’alimentazione, (rapporto Espad dell’Istituto di Fisiologia Clinica del Cnr) e, osservando i maschi, la proporzione è di un ragazzo su venti. Se, però, ci riferiamo alla fascia d’età dei 15 anni, il rapporto diventa di uno su dieci.
E’ stata inoltre riscontrata tra i maschi un’associazione tra l’essere sovrappeso e l’uso di sostanze stupefacenti. Mentre, nelle ragazze, è la magrezza ad essere associata al consumo di droghe.
Nei disturbi alimentari la focalizzazione del pensiero ossessivo sul cibo e sul corpo diviene una sorta di distrazione, un anestetico che riduce la sofferenza psichica. In Italia sono oltre 3 milioni di persone a soffrire di disturbi del comportamento alimentare e, circa l’ 80% ha subito abusi e maltrattamenti. Questi disturbi non devono essere scambiati per malattie dell’appetito. Sono disagi psicologici profondi che celano una profonda “fame d’amore”.
“L’anoressia e la bulimia sono il sintomo tangibile di un dolore che non si vede, di un disagio psicologico lungamente incubato, segno di una crepa nella memoria o nella vita famigliare. La persona anoressica e la persona bulimica sono come il gatto dei cartoni animati che inseguito dal grosso cane del quartiere si arrampica velocemente in cima a un albero, per cercare il rifugio e la protezione che non saprebbe trovare altrove. Da lassù guarda con sufficienza e sollievo ciò che dal basso lo minaccia. Da lassù è sicuro di avere un controllo totale, a trecentossanta gradi, del mondo sottostante. In più, se scendesse dovrebbe anche fare i conti con ciò da cui si era messo al riparo” (Fabiola De Clercq, 1998, Fame d’Amore, Rizzoli).


Ricostruire insieme le possibili cause del disagio, conoscersi e creare il percorso di guarigione più adatto a sè, creare un’esperienza relazionale significativa con un esperto che non giudica co-costruendo un modo nuovo di vivere, un sostegno medico ed un eventuale supporto farmacologico per prendersi cura di un corpo e di un’anima sofferenti; Questi gli obiettivi coraggiosi da perseguire.

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